Parte della storia enogastronomica di questi territori è legata alla figura dei monaci siriani, che dall’Asia Minore scelsero di vivere in queste terra in cerca di pace e spiritualità. I monaci portarono spezie e semi da coltivare, specie che ancora oggi ricoprono un ruolo determinante nell’economia locale.
La roveja, da molti considerata l’antenata del pisello, è detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi o corbello. Si tratta di un piccolo legume simile appunto al pisello, dal seme colorato le cui tonalità variano dal marrone-grigio al verde scuro. In passato era diffusa lungo tutti gli Appennini, anche a quote elevate grazie alla sua particolare resistenza al freddo. La roveja si coltiva in primavera-estate e non necessita di molta acqua.
Se la scienza non è d'accordo sulla sua classificazione botanica, su una cosa sono tutti d’accordo: è ottima per minestre e zuppe! La roveja è un alimento assai proteico, in particolare se consumata secca.
Alto è il suo contenuto di carboidrati, fosforo e potassio, mentre i grassi sono davvero minimi. Già cibo d'elezione di pastori e contadini dei Sibillini, che la integravano con altri legumi poveri quali lenticchie, cicerchie e fave, dopo un periodo di oblio, la sua coltivazione è stata riscoperta da pochi anni, grazie ad alcuni agricoltori di Civita di Cascia, appassionati e lungimiranti.
La roveja può anche essere macinata a pietra e utilizzata in cucina, sottoforma di farina, per la realizzazione di alcuni tipi di polenta, come la “farecchiata”.
La coltivazione è molto impegnativa, dato che la roveja si falcia a mano. Ciò richiede molto tempo e comporta la fatica di lavorare chinati, il che ha condotto all'abbandono pressoché totale la coltivazione di questo come di altri antichi legumi. Ecco perché l'azione di recupero del seme da parte del consorzio, che ha ottenuto un riconoscimento da Slow food, acquista ancor più valore in ambito economico, culturale e sociale.
IL RACCONTO
La Valle dei Bronzetti, la storia di un luogo e dei suoi prodotti